La prima volta che ho visto entrare in casa nostra Mario Calabresi, ho avuto una sensazione particolare, come se quell’uomo, tante volte visto e ascoltato in diverse trasmissioni TV, fosse uscito improvvisamente dal televisore. Può sembrare una banalità, ma è esattamente ciò che ho provato.
Lo stesso sguardo di cui senti di poterti fidare, lo stesso sorriso amichevole, stessa voce calda. Un attimo dopo, vinta l’emozione, è stato come se ci conoscessimo da una vita. Un’ora dopo eravamo amici. La prima volta è venuto per conoscere me, e ha conosciuto anche Franco. Evidentemente ne è rimasto colpito, perché ha voluto scrivere di lui, nel suo ultimo lavoro “Alzarsi all’alba”. È un libro dedicato alla fatica, che però non viene vista con un’accezione negativa, non come qualcosa da evitare a tutti i costi, ma come un valore, che forma il carattere, la personalità.
Franco non si è mai tirato indietro rispetto alla fatica che la SLA ci ha imposto. Fatica mia, visibile a tutti, ma fatica di tutti, di Franco in prima linea. Se dovessi dire che faccia aveva la fatica il pomeriggio in cui per la prima volta abbiamo sentito parlare di “malattia”, era la faccia della paura, quella di Franco, cioè quella di chi resta zitto ad ascoltare che a sua moglie, felice di aspettare il terzo figlio, restano pochi anni di vita, e che la gravidanza avrebbe ulteriormente ridotto questo margine. Non vedevo la sua faccia, ma sapevo che era la stessa che avevo io.
La sua fatica fu maggiore nei giorni successivi, in cui si comportò come una montagna, che ripara dal vento e dalle tempeste senza dire una parola di troppo, perché aveva capito che la scelta doveva essere mia. Una volta deciso che nessuno avrebbe toccato la nostra bambina, la sua fatica è sempre stata quella di combattere accanto a me e proteggere ogni mia scelta.
E poi, la fatica di far vivere ai figli più grandi questa situazione senza che diventasse una fatica anche per loro. Una fatica che avrebbe lasciato un segno pesante, forse indelebile. È riuscito a farmi ridere nei miei momenti di sconforto, quando le difficoltà aumentavano. Momenti in cui forse anche lui avrebbe avuto voglia di piangere. Qualche volta l’ha fatto insieme a me, e poi quel pianto è diventata una risata.
Anche oggi ridiamo tanto, quando ad esempio si mette a ballare sculettando, o quando sistema il bicchiere sul divano, poggiato a me, e mi dice “Stai ferma eh!”. Mario Calabresi ha fatto una chiacchierata con Franco per telefono, e in sottofondo si sentiva il ticchettio del computer. Da quella conversazione è nato un bellissimo capitolo del suo nuovo libro, “Alzarsi all’alba”.






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