Il mio ritratto

Pubblicato il

27 Apr 2021

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Questa sono io. È il ritratto che mi ha fatto Bianca, la bambina della mia bambina: mancano le braccia, (forse ce n’è una), perché in effetti non mi servono… Però mi ha fatto un bel sorriso, le gambe a stecchino, e il cuscino sotto. Manca il tubo del respiratore attaccato alla gola, e questo mi piace: per lei non è importante, non lo vede. Non vede ciò che altri considerano emblema di vita inutile, finita.

 

Il quadrato in giallo sulla destra è il mio comunicatore, che non poteva mancare: è parte di me perché con quello posso parlare con lei, le posso mettere la musica quando vuole farmi un balletto, oppure mettere un cartone in televisione quando è stanca. Sono lenta, e lei ha imparato a non essere impaziente.

 

Il suo fratellino si chiama Tommaso, il mio Pommy, diceva lei quando è nato. Quei due bambini si amano tantissimo, e se è consueto che il più piccolo abbia una sorta di venerazione per il fratello maggiore, molto raramente tale venerazione è ricambiata, almeno in apparenza. Bianca invece sì, la ricambia, e non solo in apparenza.

Giocano insieme, si aiutano, si consolano, condividono le cose buone da mangiare, e qualche volta litigano, anche. In questi casi, la mamma li chiama, li fa ragionare, e chiede loro di fare la pace: allora si abbracciano con gli occhioni azzurri ancora lucidi di pianto, e ridono. Finito.

Tommy ha impiegato un paio d’anni a capire come funziono. Non si fidava molto ad avvicinarsi troppo a me, con questa mia strana voce che esce anche se ho la bocca chiusa. Mi osservava da lontano con la sua faccia perfetta e gli occhi meravigliosi. Poi piano piano sono riuscita a conquistarlo. Quando era nervoso gli accendevo i video con le canzoni per bambini, lui si avvicinava senza che io lo chiamassi, e mentre osservava lo schermo e io osservavo il suo profilo, e godevo della sua vicinanza. Adesso ormai osa anche sfiorarmi in un mezzo abbraccio, quando vede che lo fa Bianca. E quando lei mi fa i tatuaggi, a volte me li fa anche lui. No, niente aghi, niente inchiostro nero. Solo dei pezzi enormi di cerotto bianco, attaccato su una mano, un piede, ma anche su pantaloni e maglietta, su cui disegnano con i pennarelli colorati.

Mi piace tanto averli in giro per casa, però devo vietarmi di riflettere su quello che potrei fare con loro se non avessi la SLA, perché questo è un pensiero che mi uccide, esattamente come quando avevo i bambini più piccoli.

Pensare a ciò che mi sono persa è troppo doloroso, e devo domare i miei pensieri con la frusta, per tenerli lontani da quel vortice di malinconia che mi porta sempre più giù.

Allora mi aggrappo al pensiero di tutto quello che ho ancora, e vedo comparire dalla bocca del vortice la faccia di quei bambini, i miei bambini, i riccioli biondissimi di Bianca, il sorriso irresistibile di Tommy, e mi dico ‘e ti sembra poco?’.

Ecco che allora il vortice scompare.

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L’autore

Laura Tangorra

Insegnante e Scrittrice

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